Data di Pubblicazione:
2023
Citazione:
(2023). Sulla scrittura di Ilse Aichinger. L’eloquenza di una parola a immagine del silenzio . Retrieved from https://hdl.handle.net/10446/258149 Retrieved from http://dx.doi.org/10.13122/978-88-97413-80-6
Abstract:
L’analisi estetologica condotta sull’opera di Ilse Aichinger si compone di una triade formata da
biografia, scrittura e filosofia. Se i cenni alla sua vita, inizialmente intimamente connessa a quella
della gemella Helga, servono per comprendere la scelta di una scrittura che si contrae fino a morire,
la parola, nel suo allenarsi a scomparire, è propedeutica alla filosofia della non esistenza.
Il contesto storico delle barbarie naziste è la cornice entro cui si educa la parola, segreta e nascosta
che si pone alla ricerca di una forma dell’abitare, percepita come estranea al domestico e che
amplifica il desiderio inaccessibile di un abitare sicuro, specchio di una progressiva sfiducia nei
confronti del linguaggio.
Lo studio approfondisce gli esperimenti narrativi di Aichinger, che virano dall’eloquenza del primo
romanzo verso la scelta di un silenzio materico, capace di dare forma a un’inedita modalità di fare
memoria: il confronto con un pressante dovere di testimonianza da parte dei sopravvissuti a un
“massacro ontologico” detona nel desiderio di tacere, “fino a quando le profondità non scoppiano
dolorosamente e inesorabilmente e diventa parola, a testimonianza che dietro tutto ciò che è stato
detto riposa potentemente il non detto”. L’individuo è esortato a predisporsi a un oblio attivo che, pur
non rimuovendo gli atti malvagi, “guarisce la memoria, attraverso il compimento del suo lutto e
attraverso il perdono, che accorda un futuro alla memoria”.
Lo sguardo etico con cui Aichinger esorta i lettori a diffidare della propria voce propone una
riflessione nel ripensare alla relazione con l’altro, stereotipato nello straniero ostile: “sperimentare la
malattia” e diventare ognuno l’altro di se stesso per esperire la diffidenza e il sospetto, in un viaggio
interiore alla scoperta dell’Altro che abita in noi e che ci inquieta. Lo straniamento che vi si crea
appare come territorio dialettico di tensione emotiva, ove convivono elementi antitetici, ascrivibili al
concetto di “luoghi di anelito, non determinabili topograficamente, luoghi senza luogo”, sostenuti dal
non luogo della scrittura.
La lingua perde dunque l’intenzione mimetica di traduzione del mondo e incarna l’esperienza
dell’impossibile: la materialità della parola si scontra con la sua propensione all’invisibilità, dando
vita a una scrittura sempre meno dicibile, sempre più resistente.
Attraverso l’analisi di opere che identificano la provocazione poetologica come unico fil rouge, si
evidenzia che il silenzio si trasferisce dalla parola alla vita: il sipario aperto nella sala cinematografica
consente al desiderio infantile di scomparsa di realizzarsi e nello spazio buio, nuovo luogo da abitare,
l’io vi si immerge per immaginarsi altrove.
L’analisi approda alla concezione di un esilio esistenziale, a cui partecipano in modo quasi
opprimente gli assenti, i luoghi perduti e chi “resta nei ricordi, con i suoi modi di morire”,
nell’eterotopia di contro-spazi, che sanno “giustapporre in un luogo reale più spazi normalmente
incompatibili”. Specularmente la scrittura incalza con un movimento poetico e dialettico che è
scrivere-tacere-scomparire, cogliendo la vita nella sua finitezza e rappresentandola attraverso forme
in miniatura. L’incontro di queste immagini con la filosofia dà vita a prose asciutte e marginali, che
catturano il senso nell’insignificante e si costruiscono togliendo elementi, più che aggiungendone.
È uno stile ai margini di ogni stile, in cui si inciampa con interesse in aforismi presi in prestito da
Emil Cioran, che si staglia come unico orizzonte di speranza. Il più maturo discorso sull’esistere, che
riflette un esaustivo discorso s
Tipologia CRIS:
1.9.03 Collana della Scuola di Alta Formazione Dottorale
Elenco autori:
Tosi, Alessandra
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